Insomma, già nel 2013 Bucci ipotizzava un legame tra ultrà e ‘ndrangheta e ne informò i servizi segreti, senza però evidentemente comunicarlo poi alla Juventus quando, un paio d’anni dopo, fu ingaggiato per occuparsi dei rapporti tra società e tifo organizzato. I dirigenti bianconeri, a partire dal presidente Andrea Agnelli che il 15 maggio sarà sentito come testimone nel processo, hanno sempre assicurato di non aver mai saputo di tentativi di infiltrazioni mafiose, né della famiglia da cui proveniva Dominello. “Quando mi raccontò dei Gobbi non mi parlò di Dominello – racconta ancora “Gestore” – Fui io a collegare tale notizia a Rocco, sapendo da altri atti interni all’Agenzia che tale famiglia era vicina alla Juventus”.
L’Aise sapeva dunque già nel 2013 del progetto criminale sgominato dai magistrati solo nel luglio 2016. E proprio il 7 luglio, il giorno della morte di Bucci, ci fu un improvviso black-out del servizio di intercettazione della procura di Torino che stava ascoltando le chiamate dell’uomo, elemento fondamentale per l’indagine secondo gli investigatori della squadra Mobile di Torino. Questo “incidente” creò non pochi problemi alla ricostruzione delle sue ultime ore e sui motivi del suo gesto (tanto che l’inchiesta è al momento
archiviata). Gli inquirenti sono riusciti a recuperare solo i numeri di telefono contattati. In particolare, l’ultima telefonata prima di gettarsi dal viadotto Bucci la fece con un’utenza della Questura di Torino e in uso a un funzionario della Digos: “Era in ritardo per l’appuntamento che avevamo, mi disse che stava arrivando”. Proprio in quei minuti però Bucci aveva fermato la sua Jeep Renegade in mezzo alla carreggiata e si preparava a mettere fine alla sua vita