Il datore di lavoro ha l’obbligo di versare lo stipendio entro il mese successivo. In caso contrario il dipendente può procedere con una diffida, con una conciliazione presso la Direzione del Lavoro o con un decreto ingiuntivo.
Ormai ci siamo così tanto abituati ai ritardi nei pagamenti da non fare più caso a quando un bonifico arriva qualche giorno dopo rispetto alla data concordata. Quando però si parla di stipendi – stipendi che, a volte, consentono di raggiungere a stento la fine del mese – anche ventiquattr’ore di ritardo possono fare la differenza e segnare la mora con la rata dovuta alla banca, il protesto di un assegno o il distacco della luce. Di strumenti legali per costringere l’azienda a versare la busta paga ve ne sono svariati (leggi Se il datore non ti versa lo stipendio: 9 cose che devi sapere); ma a partire da quale momento il dipendente può iniziare a fare la voce grossa e fino a quando è tenuto invece ad aspettare prima di poter agire per ottenere ciò che gli spetta? In altre parole, in caso di stipendio in ritardo, c’è un termine entro cui va versata la busta paga?
Il Ccnl è il punto da cui partire
Generalmente il pagamento della retribuzione deve avvenire ogni mese, ma si possono concordare tempi diversi. In ogni caso, a stabilire qual è la scadenza per il pagamento dello stipendio – ossia il termine ultimo entro cui la busta paga deve essere accreditata al lavoratore – sono i contratti collettivi. Non esiste una legge generale e valida per tutte le categorie di dipendenti. Questo significa che per stabilire qual è il termine entro cui va versata la busta paga bisogna innanzitutto leggere il proprio Ccnl di categoria. In esso si trova il limite entro cui è lecito perdonare un ritardo nel pagamento dello stipendio. Oltre tale data, il datore di lavoro è automaticamente in mora ed è tenuto a versare gli interessi.