Gaetano Montanino, ucciso in servizio. Adesso la moglie Lucia ha “adottato” la sua famiglia

Una storia così non si sente tutti i giorni.
A distanza di cinque anni dall’omicidio di suo marito, ecco cosa ha deciso di fare la moglie

La storia di Lucia Montanino, la vedova di Gaetano, guardia giurata, ucciso nel 2009 durtante una rapina: ha “adottato” la famiglia di Antonio, il più giovane del commando: aveva allora 17 anni

Lucia è diventata il suo “angelo custode”. Per lei invece Antonio “è come il figliol prodigo”. Perché dopo il delitto e il dolore, possono esserci anche la riconciliazione e il riscatto.

È un cammino pieno di ostacoli, ma è quello che ha scelto di percorrere Lucia Montanino. Gaetano, il marito, lavorava come guardia giurata e fu ucciso mentre era al lavoro la sera del 4 agosto 2009 in piazza Mercato da quattro giovanissimi che volevano rapinargli la pistola. Aveva 45 anni, una bambina ancora piccola. Antonio invece era il più giovane del commando: diciassette anni non ancora compiuti, un bimbo anche lui, concepito appena una settimana prima. Li arrestarono tutti e Antonio fu condannato a 22 anni.

Oggi è padre di due figli. E se, al compimento del venticinquesimo anno di età, non è stato trasferito dall’istituto minorile di Nisida in una cella di Poggioreale è anche grazie a Lucia. La moglie dell’uomo che ha assassinato. La donna che i suoi bambini chiamano “nonna Lucia”. La persona che dà consigli alla sua compagna. Colei che gli ha aperto la strada per ottenere un lavoro e aiutare così anche i suoi figli. Perché da un paio di mesi Antonio lavora in un bene confiscato intitolato proprio a Gaetano Montanino. Lucia ha di fatto “adottato” la sua famiglia. E racconta: “Antonio era a Nisida. Aveva chiesto al direttore dell’istituto di incontrarmi.

Ma il solo pensiero mi faceva stare male. Non volevo trovarmi davanti a un assassino. Sono passati anni. Ogni tanto mi ripetevano che quel ragazzo voleva vedermi. “È importante per il suo percorso, ma bisogna farlo prima che venga trasferito a Poggioreale”, dicevano. Il 21 marzo scorso è capitato quello che non avrei mai immaginato prima. Eravamo sul lungomare, alla marcia di Libera. Mi sentivo stanchissima. Mi trovavo accanto a don Tonino Palmese quando il direttore di Nisida mi disse che Antonio era lì. Sul palco. Rivolsi lo sguardo verso di lui. Cercavo un mostro, vidi un ragazzino.